L’album raccontato da Mario Venuti
Una serie di canzoni che si muovono sull’onda lunga della crisi. Con possibili vie di uscita.
Un viaggio dal tramonto delle nostre vecchie illusioni all’alba di una nuova consapevolezza. Nessun catastrofismo, anzi nuovi stimoli per ripensare il nostro modo di vivere e i nostri valori.
Lyrics
IL TRAMONTO
Hai l’impressione che il tuo vecchio mondo e le tue sicurezze stiano per crollarti addosso? Niente paura: Il tramonto dell’Occidente cura l’emicrania, placa fame e sete. Un giorno questo dolore ti sarà utile (per citare Peter Cameron). Hai la possibilità di vedere inaspettate novità nella luce di questo tramonto. Puoi trovare in questo disagio una forza nuova in te, che nemmeno sapevi di avere.
Questo leit motiv accompagna un po’ tutto il disco.
Dal balcone l’altro giorno
Ho visto uno studente rovistare
Nella la spazzatura
Nelle liste elettorali
Leggo nomi di maiali
Gli svantaggi della libertà
Mio Signore, per favore
Non aver pietà
Il tramonto dell’Occidente
E delle canzonette ritmate
Cura l’emicrania
Placa fame e sete
La deriva dei continenti
E dei costumi dei presidenti
Nuovi silenziosi mondi fa sperare
Ogni impero si conclude senza rulli di tamburi
Solo ruberie e volgarità
Stanchi di morire
Nella noia quotidiana
Confidiamo nella scollatura
Nella luce del tramonto
Cerco novità
Il tramonto dell’Occidente
E delle canzonette d’estate
Cura l’emicrania
Placa fame e sete
La deriva dei continenti
Il declino dei presidenti
Nuovi silenziosi mondi fa sognare
Libertè, egualitè. fraternitè…
Je voix la vie en rose
Nella luce del tramonto
Cerco novità
Il tramonto dell’Occidente
E delle canzoncine d’estate
Cura l’emicrania
Placa fame e sete
La deriva dei continenti
E dei cosiddetti potenti
Un miglioramento certo fa sperare
ITE MISSA EST (con Francesco Bianconi e Giusy Ferreri)
Quanti messaggeri dell’Apocalisse popolano il nostro mondo, la rete, la TV? Professionisti della iattura, postulanti del NO FUTURE, cartomanti della catastrofe imminente. Alcuni si aggirano accompagnati da una luce che loro credono divina (sono solo riflettori) e ci annunciano la fine imminente. Sono il bersaglio ironico di questa canzone. Perché poi a dispetto di tutto, il cielo è sempre più blu!
Ci sono quelli che prevedono
Che ci coprirà l’oceano
Qualcuno legge le statistiche del tasso di felicità
E c’è chi scrive solo musica mistica
Pensando sia di qualità
Ite missa est
Ite missa est
Siamo lieti di annunciare
Il diluvio universale
Ite missa est
Beati voi
Un santo predica l’utilità
Del bene che farà l’atomica
E c’è chi vede vuoto e lacrime
Chi crede solo all’aldilà
Ad abitudini domestiche chimiche
Alla saggezza dell’età
Ite missa est
Ite missa est
Siamo lieti di annunciare
Il giudizio universale
Ite missa est
Beati noi
Io esco solo di domenica
Osservo bene quest’umanità
Mi sembra come una parabola biblica
La fine della nostra civiltà
Ite missa est
Ite missa est
Ite missa est
Ite missa est
Beati noi, beati voi
Halleluja, halleluja…
I CAPOLAVORI DI BEETHOVEN (con Franco Battiato)
Il genio della musica che crea capolavori proprio quando la sordità comincia a manifestarsi diventa qui metafora salvifica. La “prescrizione indicata” per i nostri tempi difficili. Trasformiamo una mancanza, un disagio, in una forza rivoluzionaria, un’occasione di redenzione. Non poteva mancare la voce che ispira saggezza del maestro Siciliano.
Istruzioni per l’uso di questo presente
Per la fine di un ciclo dell’umanità:
La corona di spine che stiamo portando
Ci ricordi la rosa che sangue non dà
Il ragazzo selvaggio di questo Occidente
(che un mercato demente sacrificherà)
ci insegni che nel buio c’è il senso della luce
Perché i capolavori di Beethoven
Non erano l’ardore dei vent’anni
Non erano il segnale del divino
Ma il primo dono della sordità
Prescrizione indicata in questo frangente:
Il ritorno inatteso della povertà
ci insegni, finalmente, l’idea dell’abbastanza
Perché i capolavori di Beethoven
Non erano l’ardore dei vent’anni
Non erano il segnale del divino
Ma il primo dono della sordità
Perché quella sonata in do minore
Non era l’esplosione dei vent’anni
Non era l’espressione del divino
Ma il primo dono della sordità
Il privilegio della sordità.
PERCHÈ?
Una domanda che genera a catena altre infinite domande. Il mistero insondabile della nostra esistenza. L’uomo che si è evoluto sull’onda di un perché e che continuerà nei secoli dei secoli a chiedersi: perché?
Un piccolo scherzo dadaista o figlio di chissà quale altra avanguardia passata e presente…
VENTRE DELLA CITTÀ
Sono passati anni da quando Pasolini ha glorificato le periferie e l’umanità vitale e dolente che le popolano. Eppure il “ventre della città” esercita ancora fascino e attrazione, per chi sa vedere in esso tutta la gamma dei vizi e delle virtù umane, senza la “corruzione” del pensiero borghese
Vite di quartieri
Venuti male
La tangenziale
La ferrovia
Le notti insonni
Girando in auto
Per la sacra periferia
Storie di Corviale
Di Quarto Oggiaro
Di Scampia
Di Librino e Zen
Sono conficcate come pugnali
Nel ventre della città
Tu mi hai raccontato
Che rubavi rame
Che ti ha beccato la polizia
Che sei già sposato
Con una bambina
Con la cocaina
Vivi a casa sua
” Ti giuro amore *
Non la tocco più
La polverina che dicevi tu”
A volume alto
Dalle autoradio
Nel ventre della città
Ci incontreremo le sere d’estate
Sul mare d’asfalto di queste borgate
Non sarà male fermarsi a guardare
Le nostre ferite
Le stelle inventate
C’è chi dorme male
Sogna di scappare
Dai discreti letti della borghesia
C’è chi non la legge
Solo dentro i libri
La cerca altrove la poesia
Meglio l’animale
Che ti mostra il cuore
Nella comunione
Di una botta e via
Tu lo puoi trovare
Dove Cristo muore
Nel ventre della città
Ci incontreremo le sere d’estate
Sul mare d’asfalto di queste borgate
Non sarà male fermarsi a guardare
Le nostre ferite
Le stelle inventate.
* Versi tratti dalla canzone di Gianni Celeste
“Non la tocco più”
PASSAU A CANNALORA (con Francesco Bianconi e Kaballà)
Bozzetto siciliano che cattura il rito popolare con il suo vocìo, il dialogo rubato, il lamento del popolo che si affida a Sant’Agata patrona di Catania per superare la sua decadenza economica, materiale e umana. E chiede a lei, simbolo di bellezza e ricchezza, con il suo fercolo di ori barocchi, di infonderne un po’ alla città.
Passau a cannalora r’e chiancheri
‘A ficiru abballari sunannu ‘a Maccarena
I carusi ‘mmenzu a fudda s’assucutunu
E i matri ca i vanniunu
Tu viri r’ansignariti ‘n misteri
Ca cu ‘sti mali frusculi non ti pozzu manteniri
Non su cchiu i tempi di me nannu Iancilu
Quannu ogni figghiu ti faceva riccu
Aituzza, bedda Aituzza
Putissi fari oru di tutta ‘sta munnizza
Tunnari a dari ancora a ‘sta città
‘Na ‘nticchia di la tò biddizza
Ast’annu rici soddi non ci nn’era
I fochi r’o Buggu a fini mancu i ficiru
Sti ciri sup’e spaddi quantu pisunu
Cchiossai i ‘na cruci ma s’anna puttari
Aituzza, bedda Aituzza
Se ‘a vita è ‘na iangata, tu fanni ‘na carizza
E tonna a dari ancora a ‘sta città
‘Na ‘nticchia di la tò ricchizza
Passau a cannalora r’e chiancheri.
ARABIAN BOYS
Amore e rivoluzione della gioventù ai tempi della Primavera Araba. Un reportage poetico dai luoghi caldi del pianeta, durante un evento epocale che ha scosso i regimi del Maghreb. E una storia d’amore che sboccia sulle barricate.
All’imbrunire i camerieri
Mescolavano la rabbia
All’acqua tonica
E gli studenti nascondevano le armi
Dentro le università
Appuntamenti di ragazze alle vetrine
Per la svendita dell’intimo
Ho visto gomme di automobili bruciare
Per un po’ di libertà
Era petrolio e gelsomino
A profumare quella primavera araba
Ed ogni amore che sbocciò
Aveva fame di catastrofe
Arabian Boys
They don’t know how to do it
But they wanna do it all time
Do it all time
E si ascoltavano canzoni occidentali
Nelle drogherie di Tunisi
Il presidente radunava la sua scorta
Per lasciare la città
Erano rose e kerosene
Ad infestare quella primavera araba
Ed ogni amore che passò
Passò per senso di vertigine
Arabian Boys
They don’t know how to do it
But they wanna do it all time
Do it all time
E sulle barricate io mi accorsi di volerti bene
Sfiorasti la mia mano che tremava quando ti guardai
Né cariche né bombe né dannati canti di sirene
Fermarono l’amore che accendeva la rivoluzione
Arabian Boys
They don’t know how to do it
But they wanna do it all time
Do it all time.
TUTTO APPARE (con Alice)
Da parecchio tempo ormai ci si interroga su quanto la realtà virtuale o quella dei media sia preponderante rispetto al dato reale. “Even better than the real thing” cantavano gli U2 tempo fa. La realtà oggettiva scompare sommersa da mille propagazioni in un gioco di ombre cinesi. Niente esiste, tutto appare.
Perché chi cerca verità
La ordina nei bar?
Cos’è che turba già da un po’
I figli dello smog?
Niente esiste
Tutto appare
C’è quello che non c’è
Niente esiste
Tutto appare
E nulla è come è
Chi è che vende alla tv
Politica e voodoo?
Chissà che differenza c’è
Fra l’anima e lo spread?
Niente esiste
Tutto appare
C’è quello che non c’è
Niente esiste
Tutto appare
E nulla è come è
E noi com’eravamo
Da ragazzi la domenica?
Così ci baciavamo
Per un dio bellissimo
Che in un attimo passò
Solo quello
Che non siamo
Solo questo so.
CIAO AMERICAN DREAM
Versione italiana di “Ashes of American flags” dei Wilco. La provincia americana, straniante, descritta in una smorfia di dolore ed alienazione, quando il sogno americano si infrange. Il dio dollaro, motore dei desideri, si trasforma in un cumulo di foglie secche in un sacco di cellophane.
Intrepidi da slot machine, schiavi del Venerdì
operai-Steve Mc Queen
possono comprarsi ogni libertà
e la Coca-Cola per la sete che verrà
e i poeti ballano sulla via della povertà
mi fanno pena in ginocchio al Bancomat
Ho venduto i desideri
che cosa darei per non svegliarmi più
Che calore che fa il sole di Wall Street
cieli azzurri e falsi dei per sentirci uomini
e viviamo noi per ipotesi
crediamo nel domani ma chissà se arriverà
Voglio indietro i desideri
che cosa darei per non morir quaggiù
In fondo mi faccio pietà ogni volta che mi vedo in TV
se suonano alla porta è un annunciazione in più
Voglio ancora desideri
mi servono sai per non morire più
Ciao American dream, ciao bandiera che si consumerà
foglie morte così dentro sacchi di cellophan
IL BANCO DI DISISA
Anche in questo pezzo la sete accecante di denaro e ricchezze diventa prigione. Una leggenda di Sicilia in cui si racconta di una grotta colma di tesori da cui è impossibile uscire se non ci si è spogliati delle ricchezze trovate. Metafora dell’avidità umana.
Dicono che sull’isola, nascosto in una grotta
di sicuro ci sia il Banco di Dìsisa
Spiriti che si giocano a carte i diamanti
nelle profondità del Banco di Dìsisa
Ricchezze indescrivibili
tu troverai davanti a te
Tesori inesauribili solo per te
ma se di quest’oro tu non ti spoglierai
da qui non uscirai
Uomini che possiedono già tutto del mondo
sulla strada vedrai come cani insaziabili
Dicono di un pastore che entrato per caso
si è vestito da re ma non è uscito più
L'ALBA (con Nicolò Carnesi)
Trascorsa dopo il tramonto la notte inquieta ci possiamo incamminare verso l’alba. Abbiamo attraversato scenari desolati di rifiuti della civiltà, evocati attraverso i nomi dati loro dalla chimica per arrivare finalmente alla pacificazione, alla scoperta del Se, recitando un altro mantra che non è più “io voglio” ma “io sono”.
Linee di atomi, catene di polimeri
Costruzioni plastiche, vinile e amidi
Grumi di materia chimicamente stabile
Rayon, cellophane, polistirolo e acrilico
Ah, l’estetica del mondo
Che si fugge tuttavia
Chi vuol esser lieto, ebbene, sia
Io sto camminando verso l’alba
Che per sua natura nasce ad est
E sto recitando un altro mantra
Prendo più coscienza, cerco me
Gruppi di molecole, scorie di alluminio
Nuvole di idrogeno, silicio ed Eternit
Quant’è bello l’Occidente
Che si fotte tuttavia
Chi vuol esser lieto, ebbene, sia
Io sto camminando verso l’alba
Che per sua natura nasce ad est
E sto recitando un altro mantra
Prendo più coscienza, cerco me
Ah, l’estetica del mondo
Che si fugge tuttavia
Chi vuol esser lieto, ebbene, sia
Io sto camminando verso l’alba
Che per sua natura nasce ad est
E sto recitando un altro mantra
Prendo più coscienza, cerco me
Mi sto risvegliando, è quasi l’alba
Posso fare a meno del caffè.
CREDITS
Il tramonto dell’Occidente
è un progetto ideato, scritto e musicato da Mario Venuti, Francesco Bianconi e Kaballà
Edizioni Musicali: Microclima – Musica e Suoni – EMI Music Publishing Italia SRL
Produzione artistica: Mario Venuti, Francesco Bianconi e Riccardo Samperi
Produzione Esecutiva: Nuccio La Ferlita per Musica e Suoni – Microclima
Management: Nuccio La Ferlita
Supervisione e coordinamento generale: Alessandra Nalon
Registrato al TRP studio di Tremestieri Etneo, Catania, da Riccardo Samperi
Assistente alla produzione: Pierpaolo Latina
La voce di Alice è stata registrata all’ISOLA Recording Studios MI da Gabriele Gigli
Le voci di F. Bianconi, Kaballà, G. Ferreri, N. Carnesi sono state registrate al RULING Studio MI
da Claudio Guidetti
Progetto grafico: Thomas Berloffa
Foto e set design: Amleto Di Leo
Make-up artist: Sonia Giuffrida
Stylist: Alessandra Nalon
Mixato da Riccardo Parravicini al MAM Recording Studio, Cavallermaggiore (CN), Cuneo
Mastering: Giovanni Versari La Maestà mastering Tredozio (FC)
Hanno suonato:
Mario Venuti: chitarra acustica, pianoforte e voce
Francesco Bianconi: tastiere e sintetizzatori
Tony Brundo: pianoforte , tastiere ed elettronica
Antonio Moscato: basso elettrico ed acustico
Luca Galeano: chitarre elettriche ed acustiche
Donato Emma: batteria (Ufip Lantec Evans)
Filippo “ Fifuz” Alessi: percussioni
Pierpaolo Latina: tastiere
“Il tramonto” è arrangiato da Tony Brundo # “Ciao American dream” è un adattamento di ” Ashes Of American Flags” Testo e musica: Jeffrey Tweedy e Jay Bennett Editori: Words Ampersand Music / BMG Platinum Songs / You Want A Piece Of This Music / Bughouse / BMG Rights Management (Italy) Srl # “Perché?” è composto da samples della discografia di Mario Venuti e frammenti musicali orchestrali tratti dal progetto “Concerto all’aperto” di Giorgio Federico Ghedini registrato da Riccardo Samperi e prodotto per la Stradivarius.
Trascrizione e adattamento archi di Tony Brundo da un’idea di Francesco Bianconi
Marcello Spina: violino
Alessio Nicosia: violino
Simone Paradiso: viola
Alessandro Longo: violoncello
Diretti da Tony Brundo
Cori: Teresa Raneri, Dario Greco, Pierpaolo Latina, Peppe Milia, Nicolo’ Carnesi, Francesco Bianconi.
Coro polifonico in “ITE MISSA EST”: Doulce Memoire
Direttrice: Bruna D’Amico
Arrangiamento e direzione coro: Tony Brundo
Soprani: Alice Antichi, Sarah Borinato, Maria Fernanda Plumari, Federica Verdemare.
Contralti: Bruna D’Amico, Grazia Malatino.
Tenori: Salvo Fresta, Gionathan Grasso, Salvatore Rosa.
Bassi: Salvo Bonfiglio, Federico Buccheri, Andrea Tartaglia.
Featuring:
Alice
Nicolò Carnesi
Giusy Ferreri che appare per gentile concessione di Sony Music Entertainment Italy SpA
Franco Battiato che appare per gentile concessione di Universal Music Italia srl
Si ringrazia: Paolo Corsi, Gabriele Gigli, Claudio Guidetti, Vincenzo La Mendola, Sergio Fiorentino, Fabio Gaudioso e il Cinema King di Catania, Valentina Arriva e la sartoria del Teatro Stabile di Catania, Carlo Sisalli di Co-Rent, Gino Cosentino, Nico Libra, Alessandro Castagna.
Alfredo Musumeci, Enza Privitera. La piccola Anna che sta muovendo i primi passi verso l’alba.
La Stradivarius per gentile concessione all’utilizzo delle opere.
Mario Venuti, Francesco Bianconi e Kaballà appaiono per gentile concessione di se stessi.